Entro nello studio, sono preoccupato, anche un po’ spaventato, certamente non sono nel migliore stato emotivo possibile.
Ambiente
L’ingresso è bello, anche se un po’ angusto, colori tenui e superfici satinate.
Dietro il bancone vedo le assistenti corrono da una stanza all’altra e sento i dottori parlare ad alta voce per farsi sentire sopra il rumore delle attrezzature.
Non si può dire che manchi la #comunicazione, forse non quella che ci vorrebbe però…
La ragazza all’ingresso dello studio mi ha giusto chiesto il nome e se avevo un appuntamento, mentre rispondeva a una telefonata, per poi liquidarmi con un secco: «Si accomodi pure in sala d’attesa».
Entro in sala d’aspetto, mi fa male il dente, non so cosa aspettarmi e la gente intorno a me ha delle facce che temo siano molto simili alla mia, preoccupate, spaventate e un filo infastidite.
Dialogo interno
È la prima volta che vengo in questo studio, me l’ha consigliato un amico, trovo uno strapuntino su cui sedermi e i pensieri iniziano ad affollarsi nella mia mente:
- «Se c’è tutta questa gente deve essere bravo»
- «Chissà quanto mi tocca aspettare?»
- «Ci sarà un bagno???»
- «Tutto sto rumore mi sta dando fastidio…»
- «Il dente mi fa un male cane!»
- «Quando ho fatto l’igiene l’ultima volta?»
- «Ma quanto mi costerà sto scherzetto»
- «Forse è meglio tornare a casa e prendere un Oki, magari passa…»
- «Ho paura»
- «Mi vergogno di avere paura»
Smarrimento
Alla fine sento chiamare il mio nome, torno all’ingresso e la ragazza mi dice: «Vada pure nello studio blu»…
Io non ho la più pallida idea di dove sia lo studio blu, intanto dovrei andare in bagno ma la ragazza è al telefono e non mi azzardo a chiederle nulla.
Mi incammino lungo il corridoio, vedo dentro nelle stanze gente sulle poltrone, qualcuno tranquillo, altri meno…
Mentre cerco il mio posto, schivo un paio di assistenti con guanti e mascherina e attrezzi vari in delle vaschette di metallo.
Finalmente trovo quello che penso sia lo studio blu, la poltrona è blu, una parete è blu…
Busso alla porta aperta, il dottore, dal suo sgabello, si gira e mi dice: «Si sieda pure, vediamo cosa c’è che non va».
Paura
Ora ho paura, mi puntano una luce in faccia, mi fanno aprire la bocca, nessuno mi ha chiesto se fossi comodo, se stessi bene, come mi chiamassi…
Mi sento un può un bullone da avvitare in una catena di montaggio.
Evito i particolari tediosi di quello che mi viene fatto, il dottore ha una mano delicata e non sento nulla, a parte il sollievo del dolore che svanisce.
Sempre dal suo sgabello, sempre con la mascherina sul volto, il dentista mi dice di fissare un appuntamento per una pulizia dei denti (lo sapevo!!!) e un controllo con la ragazza all’ingresso, mentre scrive qualcosa al computer.
Io torno al bancone, in tutto questo non sono ancora riuscito ad andare in bagno, la ragazza è ancora al telefono e ha la faccia di una che preferirebbe essere da un’altra parte a fare altro.
A gesti, un po’ frustrato, riesco a fissare gli appuntamenti, tra una telefona e l’altra riesco anche a pagare (meno di quanto temessi, più di quanto sperassi).
Finalmente esco e ho impressione di essere stato in una centrifuga così come ho la certezza che nessuno nello studio sappia il mio nome o ricorderà la mia faccia quando tornerò.
Sto bene, non ho più dolore ma sono ancora teso e frustrato, non riesco a rilassarmi!!!
Breaking state
Entro in un bar, il barista sorridente mi saluta e mi chiede come va e cosa desidero, ordino un caffè e finalmente posso andare in bagno.
Torno al banco, chiacchiero un po’ col barista, che intanto abbassa la musica per farci parlare meglio, e finalmente la mia schiena smette di essere una sedia impagliata, sento proprio il mio umore che cambia.
Pago ed esco con il sorriso.
Dentro di me penso: «Quanto è costato al barista per farmi sentire a mio agio? Il caffè non era un gran che, ma se abitassi qua vicino, verrei qui a fare colazione!».
Gualtiero Tronconi