Sono anni che tutti ce ne parlano come del super potere degli uomini e delle donne di successo.
Una miriade di esempi di persone che si rialzano più forti di prima e che conquistano mete e obiettivi apparentemente irraggiungibili prima del fallimento…
Tutti i film, tutti i romanzi, tutti gli speech di Ted e dei vari motivatori (sempre che ancora qualcuno creda che si possa davvero motivare qualcuno).
Oggi ho voglia di svelarti un trucco.
Esiste una tecnica di storytelling definita “Il viaggio dell’eroe” teorizzata da Christopher Vogler nell’omonimo libro.
Come al solito cerco di fartela semplice.
Tre atti per 12 step
ll viaggio dell’eroe può essere schematizzato in una struttura da applicare al classico schema in tre atti specificandone più nel dettaglio i passaggi.
Si compone si dodici step:
- I atto
- Il mondo ordinario.
- La chiamata all’avventura.
- Il rifiuto della chiamata.
- L’incontro con il mentore.
- II atto
- Il superamento della prima soglia.
- Prove, alleati, nemici.
- Avvicinamento alla caverna più profonda.
- Prova centrale.
- Ricompensa.
- III atto
- Via del ritorno.
- Resurrezione.
- Ritorno con l’elisir.
Se a questo punto tu provassi una strana sensazione di déjà vu sappi che è del tutto normale pur senza che io sia entrato nei dettagli di ogni singolo step.
Se hai letto o visto un qualsiasi romanzo o film fantasy qui ritroverai la struttura base di ciò che ti è stato raccontato.
E sgombro subito il campo da ogni fraintendimento: va benissimo!!!
Il viaggio dell’eroe funziona in maniera efficace come poche altre strutture narrative.
Per molti ma non per tutti
Quando iniziano i guai?
Quando pessimi scrittori, sceneggiatori, formatori e affini decidono di usare questa struttura e ridurla a una “formuletta” per commuovere e ingaggiare il proprio pubblico.
Anni fa ho partecipato alla presentazione di un collega formatore, una persona piacente e piacevole, ben vestita, dai modi affabili, dall’ottimo livello culturale e dalle indubbie competenze tecniche.
Purtroppo nella sua vita aveva incontrato un “guru del public speaking” che gli aveva fatto imparare a memoria “Il viaggio dell’eroe” senza aiutarlo a crearne una propria versione, aderente con il suo essere e con il suo vissuto.
Io conoscevo il prodotto presentato, il relatore me ne aveva parlato durante una cena tra amici coinvolgendomi e convincendomi della bontà del progetto.
La presentazione fu invece un disastro su tutta la linea.
Hai presente il bambino che recita la poesia di Natale in piedi sulla sedia davanti agli zii di cui non ricorda neanche il nome…
Beh, la sensazione che io ne ricavai fu la stessa che vedere quel povero bambino.
Un professionista preparato e appassionato ingabbiato in una storia che gli calzava addosso come un armatura disegnata da Picasso.
Una storia di fallimento, resilienza, redenzione e successo assolutamente banale, seppur vera, mal gestita e poco inerente con quanto si stava presentando.
Perché odio la resilienza
Ok, specifico meglio: io non odio la resilienza, ritengo che sia fondamentale perché la vita, alle volte, ci mette davanti a prove davvero ardue.
Perché il fallimento fa parte dell’apprendimento e noi siamo nati per evolverci, per imparare, per crescere…
Quello che odio è l’ostentazione della resilienza.
«Sono figo perché sono sopravvissuto a questo e a quest’altro».
O peggio ancora: «Sono meglio degli altri perché mi sono ripreso dopo…».
E ancora: «Ti posso insegnare a vivere perché ho questa esperienza traumatica alle spalle».
Torno a dire, tutto bene, tutto ok, tutto bellissimo… ma la “caduta e resurrezione” sono davvero titoli sufficienti a ergersi a maestro di vita o di altro?
Non ho una risposta, anche se tutto il mio essere mi dice che no, non basta.
Così quando inizio a sentire storie che partono con «Io avevo una vita bellissima, poi mia moglie mi ha lasciato, i miei soci mi hanno tradito, ho perso la casa… ma, nel momento più basso della mia vita, ho deciso di fare quel corso/applicare questa tecnica/sviluppare questo metodo e ora…»
Ecco, quando sento queste storie preconfezionate, trite e ritrite, banali e mal gestite devo davvero fare appello a tutte le mie capacità di gestire lo stato emotivo e tenere a bada il mio istinto di chiamare le cose con il loro vero nome: cialtronerie.
Facciamo pace
Ma non voglio lasciarti così.
Voglio dirti che storie travagliate e di successo esistono.
Sono certo che molti abbiano la capacità di aiutare gli altri a sviluppare abilità e competenze anche grazie ai propri inciampi, fallimenti e agli urti inferti dalla vita.
So che la resilienza è fondamentale, so che va allenata, so come coach, come essere umano e come genitore quanto sia importante farla sviluppare in ciascuno di noi.
Quindi oggi ho deciso di far pace con la resilienza, lo dichiaro pubblicamente!!!
Ma non con l’ostentazione.
Gualtiero Tronconi