Ultimamente sono venuto in contatto con il concetto di Multipotenzialità e mi ha molto incuriosito.

La prima definizione (multipotentialed person) è stata coniata dallo psicologo R.H. Frederickson nel 1972 che scriveva:

«Multipotentialed person: una persona che quando si trova in contesti appropriati, può selezionare e sviluppare una serie di competenze ad alto livello».

Quello che trovo interessante di questa prima definizione è questa parte: quando si trova in contesti appropriati

Al di là di “tanta filosofia” che si potrebbe fare sul concetto di Multipotenzialità è questo quello su cui mi preme concentrarmi oggi.

Un deficit insegnato ai bambini

Come molte altre persone sono stato attratto dalla Multipotenzialità grazie allo speech di Emilie Wapnick durante un TedX del 2015.

Quello che più mi ha ingaggiato del suo discorso, forse perché mi sono sentito chiamato in causa, è stato il riferimento alla domanda che tutti ci siamo sentiti fare più volte nell’infanzia e nella gioventù:

«Cosa farai da grande?».

Questa domanda, ripetuta poi sotto varie forme nel corso della vita di ognuno di noi non può che installare nelle nostre menti un nesso causale: mi chiedono cosa farò da grande QUINDI dovrei saperlo.

Quando la risposta non c’è iniziano i problemi con un altro nesso: dovrei saperlo MA non lo so QUINDI sono sbagliato.

Le parole sono importanti

Io stesso ho vissuto questa sensazione di essere “sbagliato”, di non avere prospettive, di non saper pianificare il mio futuro come avrei dovuto.

Il mio CV lo racconta bene, imprenditore a 20 anni, dipendente a 24, libero professionista a 35 e nuovamente imprenditore e nuovamente consulente e libero professionista…

Passando, lavorativamente, dall’editoria al marketing, dalla comunicazione aziendale al coaching, dalla consulenza “gestionale” a quella del people development, dallo sviluppo web alla grafica.

Per non parlare dei mille interessi che ho sviluppato negli anni per la musica, la letteratura, la scrittura creativa e molto, molto altro.

Tutto questo però cozzava costantemente con le domande dei recruiter: «Dove ti vedi tra 5 anni?», «Cosa vorresti fare?» e io, dentro di me, pensavo «Tutto, crescere, imparare e sfruttare tutto quello che ho già imparato».

Ma è difficile rendere a parole questo desiderio, anche per chi con le parole ci ha lavorato e ci lavora, e non esiste una job description che comprenda tutto ciò che ho approfondito nella mia vita.

Uomo rinascimentale VS uomo moderno

Non è sempre stato così.

C’è stato un periodo storico, lungo, in cui il “sapiente” lo era in molte discipline diverse.

Spesso si cita a tal proposito Leonardo Da Vinci, pittore, inventore, scrittore, scienziato, patologo (antelitteram), etologo e molto altro ancora.

Io userei un semplice parola per definire tutto questo: curioso.

Ma oggi viviamo in un mondo di specializzazioni, basti guardare le distinzioni nelle facoltà universitarie, e va benissimo per chi ha quel tipo di predisposizione.

Ma chi invece rientra nella categoria dei “curiosi” arranca e, non ho paura di dirlo, soffre.

In un mondo dove devi saper fare una cosa sola, chi ne sa fare molte viene preso per un cialtrone, per un pressapochista, anche se quelle cose le sa fare bene.

Una soluzione?

Non so come poter integrare queste due visioni, specializzata e curiosa, in un solo sistema.

So solo che forse dovremmo tenere presente che esistono delle differenze tra noi.

Dovremmo capire che, sebbene funzionano tutti in base agli stessi principi, ognuno di noi è un universo di differenze rispetto a chiunque altro su questa palla che ruota nell’infinito.

Gualtiero Tronconi