Un tempo, quando mi chiedevano quale fosse il mio lavoro la risposta era facile: io scrivo…
In realtà, ora che la risposta è molto più impegnativa e lunga, mi rendo conto che scrivere è, ed è stato, più di un lavoro per me, una vera è propria esigenza, una necessità.
Non è sempre stato così, da piccolo odiavo scrivere… sono anche stato rimandato in italiano in prima superiore perché i miei temi erano mal scritti, belle idee ma messe giù alla meglio.
Poi ho scoperto la magia delle parole, ho scoperto che hanno un suono, un ritmo. Ho scoperto che messe in un certo ordine possono fare miracoli, possono far piangere le persone, oppure farle ridere, oppure confonderle fino a perdersi…
Ora, in un’epoca in cui mettere la punteggiatura in un messaggio è “una roba da vecchi sfigati”, io non mi arrendo e, ora che non mi pagano per farlo, posso armarmi di cesello come un ebanista per scegliere ogni singola parola che scrivo, posizionare con la calma di uno scacchista la punteggiatura, selezionare come uno stratega quando far scendere in campo un verbo o un altro.
Scrivere per me è comunicare, a un livello più profondo, più intimo, assomiglia molto a suonare, è mettersi a nudo, immaginare le reazioni degli altri e reagire a tua volta, una danza senza musica, un solitario passo a due, un duetto immaginario con il lettore.
Allora, anche se sempre meno, ogni tanto prendo in mano la penna e indugio in questa pratica di onanismo in pubblico, come un suonatore di strada che se ne fotte dei passanti al punto da farli fermare tutti a sentire le sue note…