Ok, il prezzo è giusto

Una delle domande che chiunque stia lanciando sul mercato un nuovo prodotto o servizio si fa, o dovrebbe farsi, è: «Qual è il prezzo giusto?».

Anche a noi di Accademia succede di chiederci che cifra chiedere per un determinato corso o per gli interventi di coaching, che siano life o business.

Come determinare il prezzo giusto

Secondo il libro “Principi di marketing”  di Philip Kotler, Gary Armstrong, Fabio Ancarani e Michele Costabile esistono tre principali strategie di definizione del prezzo:

  • Pricing basato sul valore percepito dal consumatore
  • Pricing basato sui costi di produzione/erogazione
  • Pricing basato sulla concorrenza

Quindi se decido di mettere sul mercato un nuovo tipo di vite potrò:

  • Valutare quale sia valore percepito della mia vite da parte dal consumatore e ipotizzare un prezzo in linea con questo valore
  • Fare una stima dei costi di produzione (approvvigionamento della materia prima, produzione del pezzo, marketing, amministrazione, ecc) per capire quanto mi costa una vite, decidere che margine di guadagno voglio avere su ogni vite e quindi sommare uno all’altro e stabilire così il prezzo.
  • Analizzare il prezzo della concorrenza e decidere come voglio posizionarmi rispetto a essa.

Ma c’è dell’altro

Tutto quanto detto fin qui è vero ma ci sono altri fattori da tenere in conto per la definizione del prezzo giusto della nostra vite.

Per esempio può esserci uno specifico obiettivo di posizionamento sul mercato.

Qua si identificano diverse strategie:

  • Competition pricing: trovo il pricing più basso tra i miei competitors e mi posiziono ancora più basso. Questo mi renderà molto aggressivo si potenziali clienti attenti al prezzo ma darà anche una percezione del mio prodotto come di bassa qualità.
  • Prezzo di penetrazione: anche in questo caso il posizionamento è basso con l’esplicita intenzione di penetrare velocemente il mercato per poi alzare gradatamente il prezzo una volta che il prodotto è ormai conosciuto e apprezzato.
  • Skimming price: utilizzata soprattutto da “monopolisti”. Entro nel mercato con un prezzo alto per poi abbassarlo con l’arrivare dei concorrenti.
  • Product Line pricing: differenzio i miei prodotti in varie fasce qualitative e di pricing andando così a coprire sia chi cerca il prodotto high end che chi cerca l’entry level.
  • Premium price: un posizionamento alto, teso a consolidare una percezione qualitativa alta del prodotto e a fidelizzare la clientela con il concetto di elitario.

Quindi…

Come sempre, prima di muovere un passo analizza bene dove sei e dove vorresti arrivare.

Studia il mercato, studia i tuoi potenziali clienti e si sempre “sul pezzo” nella gestione dei tuoi processi e dei loro costi.

Tutto questo ti fornirà gli strumenti per prendere le decisioni giuste e stabilire il prezzo giusto per ciò che stai offrendo al mercato.

Gualtiero Tronconi

Cosa è il marketing

Sempre più spesso, parlando con amici piccoli imprenditori o professionisti, mi capita di imbattermi in una serie di grandi misunderstanding in risposta alla domanda: cosa è il marketing?

L’errore in cui più spesso si cade è quello di sovrapporre il “commerciale” al marketing e quindi mi ritrovo a sentire professionisti sanitari che affermano: «Io non voglio fare quelle cose lì, non mi interessa vendere…»

Al di là delle riflessioni sul concetto di “vendere”, di cui ho già scritto qualche tempo fa in questo articolo: “Offrire la cura migliore“, vorrei affermare una volta per tutte che marketing e vendita sono due attività diverse e distinte.

Back to the basics

Ecco cos’è il marketing secondo l’enciclopedia Treccani:

[…] il complesso dei metodi atti a collocare con il massimo profitto i prodotti in un dato mercato attraverso la scelta e la pianificazione delle politiche più opportune di prodotto, di prezzo, di distribuzione, di comunicazione, dopo aver individuato, attraverso analisi di mercato, i bisogni dei consumatori attuali e potenziali.

Quindi, giusto per chiudere l’argomento della premessa, potremmo desumere che la vendita sia una delle tante attività di marketing.

In questo bog abbiamo già affrontato tanti dei temi di questa disciplina:

• il tone of voice: “Il tono definisce l’azienda
• il visual e web marketing: “Immagina le immagini“, “Un colore vale l’altro
• la comunicazione: “Scrivere per il web… efficacemente
• il social marketing: “Ogni social ha il suo pubblico

E abbiamo anche approfondito alcune di queste tematiche a uso degli amici odontoiatri.

I discorsi che sento però mi mettono nella situazione di dover affrontare l’argomento da un punto di vista più generale.

Il contrario di: marketing

Come per il verbo comunicare, anche per la parola marketing non esiste un contrario.

Se andassi a una cena, con gli occhiali da sole, sedendomi in un angolo e non parlando con nessuno, che non sia il cameriere, per tutto il tempo starei comunque comunicando qualcosa ai miei commensali.

Magari che sono al termine di una pessima giornata, molto probabilmente verrei interpretato come uno che vuole essere da un’altra parte.

La medesima cosa avviene con il marketing.

Mi fanno sorridere quegli imprenditori che rifiutano di avere un sito, se ne infischiano dei social, utilizzano un logo degli anni ’50 e non aggiornano le loro brochure dagli anni ’80 al grido di: «Tanto chi vuole quel che faccio mi chiama comunque!!!».

Si! Certo! Finché sei un monopolista, finché un’azienda moderna e aggressiva non decide di invadere il tuo mercato o finché non esista un valido succedaneo.

E poi…

E poi ti rendi conto di quanto la frase: «Se non ti trovo su Google non esisti».

Le mie brochure, il mio sito, il mio logo, il mio listino prezzi, la mia segretaria, i miei commerciali, il mio packaging, i colori e lo stato dei miei furgoni, il mio biglietto da visita, le mie fatture, tutto, ma proprio tutto, ciò che esce dalla mia azienda o che semplicemente viene in contatto con i miei clienti, attuali o potenziali, racconta qualcosa dell’azienda stessa.

Nel caso dell’imprenditore “miope” ipotizzato prima, tutto di lui racconta il suo totale disinteresse nel rapporto con i potenziali clienti e il suo essere fuori dal tempo, il che potrebbe far pensare al fatto che non sia anche produttivamente così attento e all’avanguardia.

E poi… semplicemente, chiudi e fai finta di non capire perché.

Soluzioni(?)

Non esiste una soluzione semplice, non c’è una ricetta segreta.

L’unico trucco che si può mettere in campo è: sapere che il marketing esiste e che tutto è marketing.

Quindi può decidere di occupartene solo in parte, puoi decidere di investire poco o tanto, di farti aiutare o meno da altri professionisti…

L’unica cosa che non puoi decidere di fare e non occupartene perché, staresti comunque facendo marketing, facendolo male.

Gualtiero Tronconi

Il cliente sa cosa vuole

Oggi voglio raccontarti una piccola storia a proposito del fatto che il cliente sa cosa vuole e noi, spesso, finiamo per volergli vendere altro.

Qualche tempo fa un’amica mi ha detto di essere alla ricerca di un nuovo appartamento da prendere in affitto a Milano.

Mi ha fatto presente le sue necessità: vicino alla metropolitana, in una zona sicura essendo lei da sola, con l’ascensore e una serie di altre caratteristiche.

Spargo la voce all’interno del mio network e salta fuori un bellissimo appartamento con tutte le caratteristiche richieste della mia amica.

A questo punto chiedo la richiesta economica al titolare dell’appartamento e lui mi dice di volere € 1100 al mese.

Parlo con la mia amica, che nel frattempo aveva visto le foto e l’appartamento le era piaciuto, e lei mi dice che purtroppo al momento non può spendere più di 800 al mese.

Un po’ dispiaciuto ricontatto il titolare dell’appartamento e gli comunico la situazione e qui salta fuori il guaio…

«Ma come, io già affitto quasi a equo canone, anzi, appartamenti come il mio andrebbero affittati al 1500, anche 1700 euro. Ho appena rifatto il bagno, la caldaia e nuova e poi…»

Lascio a te aggiungere il resto.

Cosa è successo?

Fondamentalmente due cose:

  • il venditore ha preso il “no” sul personale;
  • il venditore non ha ascoltato il cliente (neanche a posteriori).

Chiarisco meglio

Nessuno ha detto che il prezzo proposto fosse scorretto, alto, non adeguato o che l’appartamento fosse brutto… semplicemente non era nella fascia di prezzo giusta per la cliente.

E tu, venditore, non è che puoi viverti male il fatto che il tuo cliente non si possa permettere il tuo prodotto o servizio, ne puoi andare a vendere sottocosto per accontentare chiunque.

Ma voglio soffermarmi maggiormente sul secondo punto.

Se vogliamo cavarci d’impiccio la questione prezzo, che spesso è causa di pessime pensate e convinzioni ultra-limitanti, facciamo un altro esempio.

Vado da un concessionario, voglio proprio comprare una bella utilitaria, mi serve che sia 5 porte, la desidero blu e ho i soldi per comprarla.

A questo punto il venditore, che appena ho messo piede nel salone ha già deciso cosa deve vendermi per far contento il direttore commerciale, attacca:
«Guardi, ho proprio quello che fa per lei, per la stessa cifra di quella piccola utilitaria che lei vorrebbe, posso darle questa berlina»

Ci penso un po’ sopra e poi mi rendo conto che spenderei di più di bollo, di benzina, avrei problemi di parcheggio e che, fondamentalmente, a me serve un’utilitaria.

Ma di più, io ti ho detto che voglio un’utilitaria e allora perché per prima cosa mi proponi una berlina? E chi ti ha detto che io una berlina non l’abbia già? E per quale motivo ti sei creato la convinzione che il prezzo fosse un problema o un argomento?

Vedete cosa succede, noi venditori prendiamo le nostre convinzione, la nostra mappa, per usare i termini della PNL, e la sovrapponiamo a quella dei clienti.

Inoltre ci aggiungiamo le “offerte” del momento, cioè quello che la direzione caldamente ci “consiglia” di vendere in quel momento e, alla fine, noi dimentichiamo la cosa più importante… ascoltare il cliente.

Una strategia differente

Se il commerciale dell’autosalone mi avesse ascoltato, mi avrebbe probabilmente fatto vedere la migliore utilitaria possibile, lodandone le qualità che io cercavo, facendomi scoprire tutti i tipi di blu in cui avrei potuto averla, proponendomi di provare a sedermi, scoprendo come fosse comoda anche se piccola, magari accendendo anche il motore per sentirne il suono.

A questo punto avremmo parlato di soldi e solo lì avrebbe potuto introdurmi l’offerta sulla berlina, altrettanto bella, blu, ma ancora più comoda e potente.

Tutto questo però restando sempre con tutta la sua attenzione su di me, cosa gli ho detto quando ho visto l’utilitaria, che cosa ho osservato, su cosa mi sono soffermato, che parole ho usato.

In più facendomi qualche domanda di processo, perché voglio proprio un’utilitaria, a cosa mi serve, come scelgo di solito le mie auto, perché sono andato da loro e non presso un’altra marca.

Più il nostro cliente ci parla più potremo offrirgli quello che sta esattamente cercando, rendendo lui un cliente felice e soddisfatto (e fidelizzato) e noi più vicini di un contratto al raggiungimento dei nostri obiettivi del periodo.

Gualtiero Tronconi

Il tono definisce l’azienda

Harry Hart, protagonista del film “Kingsman: Secret Service“, ama ripetere «I modi definiscono l’uomo», parafrasandolo noi potremmo dire che “Il tono definisce l’azienda”.

Ma partiamo dalle basi e rendiamo la questione il più semplice e chiara possibile.

È una questione di tono

Nella vita, lo sappiamo bene, spesso tutto si riduce a una questione di tono. Posso dire qualsiasi cosa, anche la più dura e la più scabrosa, basta che io lo faccia nel modo giusto.

Tutto questo è vero anche nel mondo della comunicazione “aziendale”.

Quindi, come ti anticipavo nell’articolo “Scrivere per il web… efficacemente“, decidere il tono con cui la tua azienda parla con i suoi clienti è un fattore da tenere in grande considerazione quando progetti una qualsiasi azione di marketing.

Tone of voice

Viene definito “Tone of voice”:

il “tono di voce” che si vuole dare alla comunicazione, in armonia con l’identità di marca; definisce il carattere e la personalità che si vogliono costruire per un prodotto o un brand.

www.glossariomarketing.it

Secondo questa definizione gli elementi che entrano in campo per la definizione del nostro tono di voce sono:

  • l’identità di marca
  • il carattere
  • la personalità
  • il brand

Questi sono tutti fattori concatenati che alle volte arrivano anche a sovrapporsi ma che, in ogni caso, devono essere frutto di una riflessione che si risolva in una vera e propria strategia comunicativa in grado di reggere nel tempo pur potendosi adattare agli inevitabili aggiustamenti che bisogna mettere in campo quando si passa “dalla teoria alla pratica”.

Facciamo qualche esempio

Partiamo da un’azienda che conosci di sicuro, RedBull con il suo “Ti mette le aliiii” ha stabilito un tone of voice con tutta una serie di caratteristiche ben definite e molto marcate.

Intanto da “del tu”, non è che mette le ali a chi la beve, le mette a TU quando la bevi.

Tutte le sue campagne pubblicitarie sono fatte a cartone animato e hanno come fil rouge l’irriverenza e situazioni al limite del surreale, divertenti.

Ha legato indissolubilmente il suo brand agli sport estremi, quindi a persone che compiono imprese che sembrano impossibili, proprio come avere le ali.

Un altro esempio che puoi prendere in considerazione è Banca Mediolanum.

I consulenti di questa banca sono chiamati Family Banker e tutta la banca è “Costruita intorno a te”.

Tutta la comunicazione che esce dall’istituto di credito vuole essere intesa come familiare, il fondatore Ennio Doris (da poco scomparso) ci ha messo la faccia per anni e poi ha introdotto la sua di familia, facendo comparire il figlio.

Quindi non devi andare te in banca, siamo noi che veniamo nella tua casa, nella tua familia, per aiutarti a gestire il tuo denaro, c’è dell’emozione in questo.

Tutto questo mantenendo comunque un tono rispetto e concreto.

Partiamo da un paio di domande

Ecco qualche domanda che sicuramente ti sei posto, o avresti dovuto porti, nel momento in cui progettavi, per esempio, il tuo sito internet:

  • ai tuoi clienti dai del “tu” o del “lei”?
  • dell’azienda parli al singolare o al plurale?
  • hai una formula con cui saluti alla fine di ogni comunicazione?
  • hai un “dizionario aziendale”, una lista di parole SI e parole NO?
  • sai esattamente come parlano i tuoi clienti, che parole usano?

Un po’ più in profondità…

Se alle domande sopra hai risposto per la maggior parte “SI”, ora affrontiamo un altro tema importante per te.

Se invece hai risposto “NO”, messo a posto quanto sopra torna a questo paragrafo…

Infatti, come sempre, c’è uno step in più da fare, che in realtà andrebbe fatto prima.

Tutto parte, ma proprio tutto, dalla domanda chiave: «Chi sei?».

Cosa rappresenta la tua azienda, cosa fai, come lo fai e perché lo fai…

Stiamo parlando di quella che viene definita “Cultura Aziendale”.

Cosa definisce la Cultura Aziendale

Gli elementi che, a livello scolastico, compongono la Cultura aziendale sono:

  • Vision
  • Mission
  • Valori Aziendali

I primi due li abbiamo analizzati qualche tempo fa nell’articolo “Vision e mission per tracciare la rotta aziendale“.

Dei valori parleremo nel futuro in un articolo dedicato a questo fondamentale argomento.

Ciò che vorrei ti fosse chiaro in questa occasione è che:

  1. La Cultura Aziendale non è qualcosa che si scrive su un cartellone e si appende a un muro dell’ingresso dell’azienda. Si tratta di parole “vive”, di parole che devono diventare azioni, comportamenti, stile di vita e di comunicazione.
  2. Una Cultura Aziendale forte, ben definita e che risulti coerente con la vita quotidiana dell’azienda ti garantirà una fidelizzazione costante dei collaboratori, dei dipendenti e anche dei clienti.

Uno strumento che può aiutarti

Finiamo questa dissertazione sul tono di voce con uno strumento, una sorta di mappa, che può tornarti utile per definire il tuo tone of voice e mantenere la rotta mentre progetti la tua comunicazione.

Sto parlando delle quattro dimensioni del tone of voice:

DivertenteneutroSerio
FormaleneutroCasual
RispettosoneutroIrriverente
EntusiastaneutroConcreto

Il tuo tono si posizionerà sempre in un punto tra queste quattro dimensioni, decidi tu dove e poi mantieni la coerenza.

Ma voglio farti un esempio per renderti più chiara possibile la cosa.

Proviamo un messaggio di errore, per esempio del tuo sito, serio, formale, rispettoso e concreto .

“Ci scusiamo, ma stiamo riscontrando un problema”.

Ora, proviamo a spostare il nostro messaggio nella direzione casual .

“Siamo spiacenti, ma stiamo riscontrando un problema da parte nostra.”

Cosa è cambiato?

  • “Ci scusiamo” diventa “Siamo spiacenti”
  • L’aggiunta dell’espressione “dalla nostra parte”

Aggiungiamo un po’ più di entusiasmo al messaggio, inteso come una componente emozionale/emotiva.

“Ops! Siamo spiacenti, ma stiamo riscontrando un problema da parte nostra”.

Se aggiungessimo un tentativo di umorismo e un po’ di irriverenza, avremo portato lo stesso messaggio con un tono di voce completamente diverso.

“Che cosa hai fatto!? L’hai rotto! (Sto scherzando. Stiamo riscontrando un problema da parte nostra.)”

Gualtiero Tronconi

Immagina le immagini

Ok, so di rischiare di diventare un po’ ripetitivo ma nella comunicazione, soprattutto quella aziendale, nulla può essere lasciato al caso. Abbiamo parlato ti blogging, di colori, ora immagina di avere a tua disposizione tutte le immagini del mondo, quale scegliere per rappresentarti?

Torniamo sempre alle stesse domande:

  • A chi stai parlando?
  • Di cosa stai parlando?
  • Come ne stai parlando?

So di essere tedioso ma tutto parte da lì, da scelte importanti e che dovrebbero determinare li stile e i contenuti di tutta la tua comunicazione.

Immagini e colori

Per prima cosa, immaginando che tu abbia già letto l’articolo “Un colore vale l’altro“, partiamo dal fatto che immagini che userai dovranno essere cromaticamente coerenti con i tuoi “colori aziendali”.

Per essere chiari fino in fondo, se il tuo colore è il rosso, tipo Coca-Cola, nell’home page del tuo sito le immagini avranno colori della stessa gamma o, perlomeno, accessi come quelli del tuo logo.

Se invece ha un blog tipo quello di Paola Velati le immagini che utilizzerai per illustrare i tuoi articoli avranno colori tendenzialmente pallidi e contrasti non troppo accesi.

Dove prendo le immagini?

Questa domanda può avere molte risposte diverse, dipende da cosa devi rappresentare, da cosa stai raccontando e da qual è il tuo core business.

Mettiamo il caso tu sia un centro estetico o un dentista… certamente non userei foto di stock.

Cosa si intende con questo termine? Faccio riferimento a tutta una serie di siti, gratuiti o a pagamento, dove posso scaricare immagini generiche per i miei progetti.

Questo tipo di immagini non possono, e non devono, essere usate come sostituti di una foto del prodotto o del luogo reale.

Quindi se hai uno studio, un negozio, un locale… mettiti nell’ordine di idee di chiamare un fotografo professionista, non l’amico con il cellulare ultimo grido, e fatti fare delle foto.

Già che stai pagando, fanne fare tante, anche più di quelle che ti servono nell’immediato, ti torneranno utili in futuro e, normalmente, i fotografi si fanno pagare a tempo (mezze giornate) e non a scatto.

E se vendo qualcosa?

Anche in questo caso, il consiglio è quello di rapportarsi con dei fotografi specializzati in still-life, fotografie statiche di oggetti.

Questo ti permetterà di avere foto omogenee e che presentino al meglio il tuoi prodotti.

Tieni presente che esistono fotografi specializzati in ogni genere di scatto, io personalmente ne ho conosciuti che facevano solo foto di moto, di camion, di cucina, di elettronica, di ritratti, di viaggio…

Quindi scegli il professionista giusto per te, che abbia l’attrezzatura e l’esperienza giusta per ottenere gli scatti che desideri e meriti.

E se non vendo nulla?

In questo caso sei autorizzato a rivolgerti ai siti di stock images…

Scherzi a parte, esistono banche date enormi in cui trovare immagini di ogni tipo, l’importante è sapere cosa cercare e aver la pazienza di trovare la foto giusta per le tue esigenze.

Non accontentarti del primo scatto che ti viene proposto, prosegui la ricerca, raffinala e troverai qualcosa che ti rappresenti al meglio.

È una questione di occhio

Anni fa, quando con Sandro Iovine ci occupavo della rivista “Il Fotografo”, la scelta delle immagini per ogni singolo articolo era un tema di discussione continuo e importante.

  • Cosa si vede prima in una pagina/schermata?
  • Dove viene indirizzato l’occhio dalla composizione dell’immagine?
  • Come si collegano tra loro le immagini?
  • Qual è la giusta sequenza in cui presentarle?
  • Che cosa raccontano queste immagini messe in questo ordine?

Domande di questo tipo erano all’ordine del giorno e, onestamente, tutto ciò mi ha portato a guardare ogni singola immagine, ma anche la scatola dei cereali del mattino, con un occhio diverso.

È un discorso analogo a quello che fanno coloro che vengono a seguire un corso Practitioner di PNL e incontrano per la prima volta il Meta Modello, con il quale è possibile sfidare e smascherare le convinzioni limitanti e ricollegare le persone alla realtà dei fatti.

Dopo aver scoperto il Meta Modello non sarai più in grado di leggere un giornale o di sentire una pubblicità nello stesso modo di prima,

Allo stesso modo scoprendo i fondamenti della lettura delle immagini, il mondo ti apparirà diverso e il tuo modo di utilizzare le immagini non sarà più lo stesso.

Si tratta solo di acquisire alcune informazioni, qualche competenza e poi fare tanto esercizio.

Gualtiero Tronconi

Ogni social ha il suo pubblico

Partendo dal presupposto che stiamo parlando di social network per utilizzo lavorativo e non personale e che non intendiamo affrontare il tema della pubblicità sui social, è importante essere consapevoli che ogni social ha un suo pubblico abbastanza specifico, ha le sue regole non scritte, la sua netiquette, i suoi detrattori e le sue ragion d’essere.

Quindi partiamo sempre dalle domande che dovremmo farci prima di qualsiasi azione di marketing, come già detto in un altro articolo (Un colore vale l’altro): «A chi sto parlando?»

O meglio: «A chi voglio parlare?»

Ma se vogliamo essere più specifici: «Chi è il mio cliente ideale?»

Un po’ di dati

Vediamo intanto di che mercato stiamo parlando, così da iniziare ad avere dei criteri solidi su cui basare le nostre future scelte.
Numero di utenti attivi (in migliaia) a livello globale a ottobre 2021:

(Fonte: © Statista)

Ma entriamo più nello specifico del mercato italiano con le piattaforme più utilizzate nel nostro paese in percentuale di utenti di internet tra i 16 e i 64 anni:

  • Facebook: 78,6%
  • Instagram: 71,4%
  • Telegram: 45,3%
  • TikTok: 28,9%
  • Twitter: 28,2%
  • Linkedin: 27,6%
  • Pinterest: 27,6%
  • Snapchat: 9,7%
  • Reddit: 7,6%

(Fonte: © GWI)

Ogni social ha il suo pubblico

Vediamo quindi i dati demografici e il tipo di utilizzo in riferimento ai maggiori social network.

Facebook

  • Numero di utenti attivi mensilmente: 2.7 miliardi
  • Età maggiormente attiva: 25-34 (26.3%)
  • Genere: 44% donne, 56% uomini
  • Tempo speso al giorno: 38 minuti

Instagram

  • Numero di utenti attivi mensilmente: 1 miliardo
  • Età maggiormente attiva: 25-34 (33.1%)
  • Genere: 57% donne, 43% uomini
  • Tempo massimo speso al giorno: 29 minuti

Twitter

  • Numero di utenti attivi giornalmente: 187 milioni
  • Età maggiormente attiva: 30-49 (44%)
  • Genere: 32% donne, 68% uomini
  • Tempo speso al giorno/settimana: 3,53 minuti per sessione

LinkedIn

  • Età maggiormente attiva: 46-55
  • Genere: 51% uomini, 49% donne
  • 63% degli utenti effettua un accesso al mese, mentre il 22% accede settimanalmente

Pinterest

  • Numero di utenti attivi mensilmente: 400+ milioni
  • Età maggiormente attiva: 30-49
  • Genere: 78% donne, 22% uomini
  • Tempo speso al giorno: 14.2 minuti

TikTok

  • Numero di utenti attivi mensilmente: 100 milioni
  • Età maggiormente attiva: 18-24
  • Genere: 59% donne, 41% uomini
  • Tempo speso al giorno: 45+ minuti

Snapchat

  • Numero di utenti attivi mensilmente: 265 milioni
  • Età maggiormente attiva: 13-34 (75%)
  • Genere: 58% donne, 40% uomini
  • Tempo speso al giorno: 26 minuti

YouTube

  • Numero di utenti attivi mensilmente: 2 miliardi
  • Età maggiormente attiva: 15-25
  • Genere: Il 72% di tutti gli utenti Internet si di sesso femminile che maschile
  • Tempo speso al giorno: 41,9 minuti tra gli spettatori dai 18 anni in su

Ogni social ha la sua netiquette

La netiquette è una parola macedonia che unisce il vocabolo inglese network (rete) e quello francese etiquette (buona educazione).

È un insieme di regole informali che disciplinano il buon comportamento di un utente sul web di Internet, specie nel rapportarsi agli altri utenti attraverso risorse come newsgroup, mailing list, forum, blog, reti sociali o e-mail in genere.

Il rispetto della netiquette non è imposto da alcuna legge, ma sotto un aspetto giuridico, la netiquette è spesso richiamata nei contratti di fornitura di servizi di accesso da parte dei provider.

Wikipedia

Facciamo qualche esempio per risultare più chiari e diretti…

Le foto delle nostre vacanze sulla neve pubblicate su Linkedin, se noi fossimo un direttore HR, non rispettano la netiquette di un social network che viene considerato “professionale”, cioè dedicato a professionisti che si scambiano informazioni inerenti il loro lavoro e i loro ambiti di competenza.

Se invece fossimo un oculista, video del filmato del nostro ultimo intervento di sostituzione del cristallino in un paziente under 75 anni non sarebbe esattamente rispettoso della netiquette di Facebook, e neanche del buon gusto in generale.

E nel caso in cui fossimo un commercialista, dovremmo prestare attenzione al fatto che gli standard dei video pubblicati su tutti i social ormai prevedono, come minimo, l’utilizzo di luci adeguate e di un microfono che permetta di sentire quello che viene detto meglio di quanto si sentano i rumori di fondo.

E gli esempi potrebbero essere mille, sbagliamo soprattutto quando sovrapponiamo il privato al professionale e quando sottovalutiamo l’importanza e la potenziale “ridondanza” di ciò che facciamo sui social.

Nessun “diritto all’oblio”

Teniamo sempre presente che tutto quello che pubblichiamo in rete resterà lì, praticamente, per sempre a disposizione di chi vorrà trovarlo o di chi ci incapperà per caso, solitamente nel momento meno opportuno.

Per esempio la nostra foto da ubriachi al matrimonio del nostro migliore amico di 6 anni fa “comparirà magicamente” sul browser del direttore del personale che sta valutando il nostro CV per un ruolo di responsabilità in una sobrissima azienda padronale…

Detto questo, esistono esempi, e sistemi, basati sul “rompere le regole” di un determinato social e quindi riuscire a fare della comunicazione disrupting.

Rompere le regole

Il primo che ci viene in mente, e di cui abbiamo parlato qualche anno fa in un altro articolo, riguarda una dentista americana balzata agli onori della cronaca per i motivetti musicali, con tema l’igiene orale, ballati e cantati da lei e il suo staff e postati sui social.

È normale per un dentista cantare e ballare sui social? Ormai sì! Ma all’epoca ho sentito molti colleghi della dottoressa parlare di poca professionalità o, addirittura, scarsa dignità…

Certamente molti bambini abbiano imparato qualcosa da quelle canzoncine e, sicuramente, molti potenziali paziente hanno conosciuto lo studio dentistico della dottoressa grazie a questa, inconsapevolmente geniale, trovata.

Ma c’è di più, non solo l’hanno conosciuto, ma si sono immediatamente fatti un’idea su che tipo di approccio potevano trovarci, sul fatto che lì si trattavano bambini, che si prestava particolare attenzione alla prevenzione, che l’atmosfera era divertente e rilassata, che lo staff era accogliente e via dicendo…

Non male per qualche pausa pranzo passata a riprendersi…

…quindi???

Quindi, come sempre, dovremo fare delle scelte e questa attività presuppone che prima vengano fatte delle riflessioni, magari partendo da alcune domande.

La prima l’abbiamo già detta, ma meglio ripeterla: «Chi è il mio cliente ideale?»

Passiamo poi a chiederci: «Quale prodotto/servizio sto promuovendo?»

«Dove posso trovare le persone che mi interessano (ricorda la prima domanda) e che siano interessate al mio prodotto/servizio?»

«Come posso “parlare” a queste persone?»

«Con quale strumento (testo, foto, video)?»

«Quanto posso investire (tempo, denaro, risorse) per produrre i materiali da pubblicare su questo/i social?»

Una volta trovate le risposte a tutte queste domande e stabilito un tempo nel quale testare le nostre teorie, dovremo poi passare a una fase di analisi dei risultati, ma questa è tutta un’altra storia e, magari l’affronteremo specificatamente in un’altro articolo.

Gualtiero Tronconi

I numeri del coaching

Ci fa piacere, ogni tanto, dare uno spaccato del mondo del coaching e quale modo migliore per farlo se non attraverso i numeri del coaching nel mondo e in Europa così da farci un’idea del mercato in cui ci muoviamo o potremmo decidere di abbracciare.

2,5 miliardi di dollari

Il mercato del coaching a livello globale

71.000

Sono i coach certificati al mondo, circa 23.000 negli USA.

80% dei coachee

afferma di aver migliorato la propria autostima e la sicurezza di sé grazie al coaching.

73% dei coachee

dichiara che il coaching ha migliorato le loro relazioni, le loro competenze comunicative e interpersonali, le performance lavorative, l’equilibrio vita/lavoro e il benessere in generale.

51% delle aziende

con una forte cultura del coaching ha fatturati più alti rispetto alle altre aziende del medesimo settore.

Oltre il 50% dei coach

vede i social media nei primi due posti tra gli strumenti necessari per la crescita del proprio business.

900 milioni di dollari

è il mercato europeo del coaching è pari a circa il 32,2% del mercato globale.

33% di incremento

del numero dei life coach dal 2015 al 2019.

221% di ROI

dell’investimento in coaching secondo un case study della International Society for Performance Improvement.

99% delle persone o delle aziende

che hanno assunto un coach si dichiarano «soddisfatti” o «molto soddisfatti». Il 96% ripeterebbe il processo.

62% dei coachee

hanno migliorato le loro opportunità di carriera attraverso il coaching.

37% dei coachee

hanno tra i 35 e 44 anni, il 30% tra i 45 e 54 e il 24% sono sotto i 35 anni.

12 miliardi di dollari

è il mercato globale del business coaching.

1,5 milioni di ricerche

su life, business ed executive coaching vengono effettuate ogni mese.

66% dei coach

lavora con manager, il 60% con executive, il 56 con imprenditori, il 54% con clienti personali, il 51% con team leader e il 34% con membri dello staff

244 dollari

è il costo medio di una sessione di coaching, ma può arrivare a costa fino a 1.000

51.100 di dollari

è il fatturato medio annuo di un coach in Europa.

100/150$

è costo medio orario di un life coach.

81% dei coach

acquisisce nuovi clienti attraverso il passa parola.

Scrivere per il web… efficacemente

Partiamo subito da un paio di presupposti fondamentali: scrivere è un muscolo e come tutti i muscoli va allenato.

Scrivere per il web prevede l’utilizzo di questo muscolo che deve effettuare un compito specifico e quindi necessita di istruzioni e training particolari.

Detto questo, andiamo in ordine e cerchiamo di costruire una vera e propria scaletta di ciò che devi fare, e ciò a cui devi prestare attenzione, nel momento in cui decidi di scrivere un articolo per un blog o un sito.

Idee chiare

Per prima cosa devi fare chiarezza nella tua testa sul tema che vuoi affrontare nel tuo articolo.
O ancora meglio, devi sapere esattamente dove vuoi guidare il tuo lettore, verso quale consapevolezza, conoscenza, azione o altro.

Sembra banale ma così non è.

Tutte le volte che finisci di leggere un articolo e hai l’impressione che ti abbia “portato a spasso” senza averti lasciato nulla… puoi stare certo che l’autore aveva una consegna da rispettare e ha scritto la prima cosa che gli è venuta in mente, saltando questo passaggio.

Questo vale anche nel momento in cui devi preparare un speech o una presentazione, se non sai tu dove vuoi andare a parare… figurati se può scoprirlo chi ti legge/ascolta.

Le fonti

Dopo aver capito e chiarito di cosa vuoi parlare, prima di metterti a scrivere anche solo il titolo del tuo articolo, dovresti informarti approfonditamente su quanto stai per scrivere.

Anche qui: sembra banale ma così non è.

Le fonti sono fondamentali, avere dei dati che sostengano la tua tesi, verificare questi dati, conoscerne la provenienza e citarla nel tuo testo.

Tutto questo è imprescindibile e anche alcuni giornalisti, o pseudo-giornalisti, dovrebbero ricordarselo più spesso.

Quindi fai ricerca, verifica e confronta, se è il caso ed è possibile, per esempio per un tutorial, fai esperienza diretta di quanto racconti.

Fatti una domanda

Perché qualcuno dovrebbe leggere quello che sto per scrivere?

Davvero, spesso ci mettiamo a scrivere come se fossimo davanti al nostro diario personale, il che va benissimo se non siamo interessati ad avere un pubblico.

Sono convinto del potere catartico e curativo della scrittura quindi ben venga la voglia di “scaricare” in un testo ciò che ci passa per la testa e magari la intasa ma qui stiamo parlando di un’altra cosa, qui stiamo parlando di scrivere per un pubblico non per noi stessi.

Quindi i principali motivi per cui qualcuno possa essere interessato a ciò che scrivi sono:

  • È utile
  • È curioso
  • È divertente
  • Mi riguarda personalmente:
    • un mio problema
    • ciò che studio
    • ciò che amo

Tutto questo tenendo conto che il tempo di permanenza media su una pagina web è di circa 15 secondi e il “tempo di lettura accettabile” per l’utente web medio è di circa 7 minuti.

Questo ci porta direttamente al prossimo step…

A cosa prestare attenzione

Sempre, ma ancora di più quando scrivo per il web, devo essere in grado di trasformare quei dannati 15 secondi nei più comodi 7 minuti.

Questo significa usare fondamentalmente due strumenti:

  • il titolo
  • le immagini

Questo perché in 15 secondo non c’è molto altro che tu possa fare per convincere il potenziale lettore a leggere quello che tu, con amore, passione e attenzione hai scritto.

Quindi scrivi titoli chiari e accattivanti evitando manovre “caccia click” e sensazionalismi, i lettori non sono stupidi e tu definirai in tal modo il tenore del tuo articolo…

Presta molta attenzione alle prime tre righe del tuo articolo, saranno la prima cosa che guarderanno dal 16° secondo, se non li agganci lì… te li sei persi.

Poche poche regole per scrivere per il web

Per riassumere:

  • Scrivi sempre titoli esplicativi con parole chiave rilevanti, serviranno come punti di focalizzazione per il lettore. Evita però di fare “il fenomeno”.
  • Scegli attentamente le immagini a corredo del tuo articolo.
  • Vai dritto al punto: cerca il più possibile di posizionare i messaggi essenziali nel primo paragrafo del tuo testo.
  • Mantieni i tuoi testi tra le 1.400 e le 1.750 parole, visto che un utente medio legge 200-250 parole al minuto.
  • Dai una struttura: per creare dei testi on-line ci si dovrebbe basare su degli elementi stilistici che servono a delineare una struttura chiara: sono così richiesti elenchi, paragrafi e sottotitoli.
  • Fai attenzione alla lunghezza dei paragrafi, facendo un buon uso di titoli, sottotitoli ed elenchi puntati (o numerati).
  • Inserisci uno spazio bianco ogni 3-4 righe, aumenta la leggibilità dei contenuti, accrescendo la “scansionabilità” oculare dell’intero testo.

Un paio di consigli per scrivere… in generale

Scrivi come mangi e cerca di mangiare composto

La lingua scritta non è diversa da quella parlata e non deve esserlo, troppo spesso vediamo persone che sembrano Toto e Peppino nella famosa scena della lettera.
Piuttosto cerchiamo di migliorare il nostro modo di esprimerci quando parliamo, per esempio ricordandoci che i congiuntivi esistono e vanno preservati come una “specie in via di estinzione”.

Spiega le cose come se avessi davanti un bambino di 8 anni

Questo non significa banalizzare, bensì semplificare. Una mia vecchia professoressa aveva questo mantra: «Se non lo sai spiegare, non l’hai capito bene!».

Non dare nessuna informazione per scontata

Direttamente collegato a quanto dicevamo prima, le informazioni che hai tu, non sono quelle del tuo lettore, quindi chiediti sempre se puoi essere più chiaro e più semplice da leggere.

Evita temi che interessano solo te

Torniamo al discorso del “diario personale”, che va bene… se resta personale.

Lascia sempre decantare le cose scritte per qualche tempo prima di rileggerle

Ognuno di noi è il peggior correttore di se stesso, rileggere dopo un po’ di tempo, quando ci siamo dimenticati ciò che abbiamo scritto è un buon modo per scovare errori o incongruenze.

Rileggi sempre ad alta voce ciò che hai scritto

Oltre al fatto che ti permetterà di allenare le tue abilità di public speaking, la lettura ad alta voce ti fa prestare maggiore attenzione a ciò che hai scritto e quindi, come sopra, ti aiuterà a individuare le pecche presenti nel tuo testo.

Non compiacerti nello scrivere, sei al servizio del lettore e non del tuo ego

Sono pochissimi gli scrittori che riescono ad auto-compiacersi della propria scrittura e rimanere comunque piacevoli da leggere. Tutti gli altri, per dirla alla romagnola, risultano degli “sboroni”…

Verifica le fonti

So do averlo già scritto ma… repetita iuvant.

Altre cose da tenere presente

Ora andiamo un po’ più sul tecnico e specifico dello scrivere per il web e, in questo caso, per compiacere sua mestò Google.

  • Scrivi sempre una Metadescritpion del tuo testo, così che venda indicizzato e “digerito” bene da Google.
  • Scrivi sempre i TAG dei tuoi articolo.
  • Inserisci sempre link interni al tuo sito/blog e link esterni a esso.
  • Inserisci sempre un Metadescritpion anche alle tue immagini.
  • Usa keyword e keyphrase ma senza esagerare, Google ormai si è fatto furbo e penalizza le troppe ripetizioni.

Per concludere…

Abbiamo ovviamente tralasciato un sacco di cose interessanti in questo articolo, per esempio:

  • come impostare una “griglia” che ti aiuti a scrivere in maniera ordinata il tuo articolo;
  • come scegliere un’immagine efficace;
  • i piani di lettura di un articolo;
  • l’utilizzo del linguaggio, per il quale ti consiglio una lettura: Il Potere del linguaggio di Paola Velati;
  • l’uso della punteggiatura;
  • l’importanza del vocabolario;
  • il “tono” della scrittura;
  • il tempo e il ritmo interni a un articolo;
  • e molto altro ancora.

Ci ripromettiamo di approfondire tutto questo prossimamente in altri articoli.

Intanto quello che vorrei che tu ti portassi a casa da queste circa 1400 parole è che scrivere è un’attività meravigliosa, che le parole scritte possono farci girare il mondo sia come lettori che come autori e che tutti abbiamo il “muscolo della scrittura”, si tratta solo di allenarlo adeguatamente e con costanza per arrivare a comunicare esattamente quello che vogliamo e far sì che altri abbiamo il piacere di leggere ciò che noi pensiamo.

«Mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile.

Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso.

Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni d’insoddisfazione di cui posso rendermi conto.»

Italo Calvino

Gualtiero Tronconi

Un colore vale l’altro

Nella mia esperienza di grafico e consulente marketing mi è successo molte volte di essere contattato per creare un logo e, giunti al momento di scegliere il colore le due risposte che più spesso mi sono sentito dare sono:

  • ma sì… un colore vale l’altro…
  • facciamolo (colore a caso) tutti i miei competitor usano quel colore…

Ora mi piacerebbe fare un po’ di chiarezza su questa cosa.

Un colore non vale l’altro, anzi…

Le persone si fanno un’idea di una persona o di un prodotto nei primi 90 secondi di interazione. Circa il 62/90% della valutazione è basata solo sui colori.

Impact of color on marketing by Satyendra Singh
(Department of Administrative Studies, University of Winnipeg, Winnipeg, Canada)

Quindi il colore preponderante del nostro marchio, della nostra divisa, della nostra insegna, del nostro biglietto da visita sarà ancora più importante della perizia specifica che abbiamo nel nostro mestiere, almeno per la prima, istintiva, valutazione di un nostro potenziale cliente.

Un colore per ogni target

Ci sono tantissimi studi, alle volte contraddittori tra loro, sulle differenze generali di gusto in base ai generi.

Possiamo dire, per riassumere e prendendo per buoni i risultati condivisi dal più delle ricerche che:

  • le donne:
    • preferiscono colori morbidi;
    • preferiscono tinte piatte;
    • la maggior parte amano il blu, il viola e il verde;
    • alla maggior parte non piace l’arancione, il marrone e il grigio;
  • gli uomini:
    • preferiscono i colori brillanti;
    • preferiscono le sfumature;
    • la maggior parte amano il blu, il verde e il nero;
    • alla maggior parte non piace l’arancione, il marrone e il viola.

Altra differenza fondamentale riguarda il “vocabolario dei colori” dei due generi, le donne hanno decisamente più dimestichezza con le diverse gradazioni di colore e riescono a dare loro un nome, quindi riconoscerle.

Gli uomini sono un po’ “più semplici” e riconoscono i colori per macro-distinzioni.

Se vogliamo invece fare una distinzione per età possono tornaci utili i dati dello studio di Joe Hallock secondo cui i colori preferiti sono:

  • tra i 01 e 18 anni: blu, verde e a seguire rosso, arancio e grigio
  • tra i 19 e 24 anni: blu e a seguire verde, viola, rosso, nero e marrone
  • tra i 25 e i 35 anni: blu e a seguire verde, viola, arancio, rosso, nero e marrone
  • tra i 36 e i 50 anni: blu e a seguire viola, verde, giallo, nero e rosso
  • tra i 50 e i 69 anni: blu e a seguire viola, giallo, arancio, rosso, grigio e nero
  • oltre i 70 anni: blu e, in percentuale minore, bianco

Ma gli altri usano il pervinca…

Facendo riferimento alla seconda risposta che più spesso mi è stata data parlando di colori bisogna muoversi come camminando sulle uova.

Ogni colore richiama alla mente una serie di sensazioni, fino ad arrivare a propri casi di sinestesia, per ipersemplificare, in cui diversi sensi si mischiano e si confondo: un colore fresco…

Quindi partiamo dall’analisi dei principali colori così da capire perché altri li abbiano usati.

  • Giallo: sicurezza, entusiasmo, ottimismo e allegria
  • Rosa: romanticismo, fascino, dolcezza e femminilità (fanciullesca)
  • Blu: fiducia, serenità, onestà e solidità
  • Verde: crescita, speranza, equilibrio, benessere e naturalità
  • Oro: eleganza, prestigio, ricchezza e esclusività
  • Arancione: energia, divertimento, azione e sfrontatezza
  • Marrone: sicurezza, serietà, tradizione e familiarità
  • Nero: serietà, eleganza, mistero e lusso
  • Rosso: forza, passione, potere ed erotismo
  • Vola: regalità, magia, mistero e spiritualità

Ovviamente, anche in questo caso stiamo semplificando, ogni sfumatura di ogni colore più evocare sensazioni diverse e più o meno intense.

Per intenderci, e per sperimentare tu stesso, questo colore:

Blu Samsung

crea sensazioni diverse da questo:

Blu Intel

e potremmo, soprattutto se siamo uomini, considerarli entrambi blu.

A questo punto possiamo capire perché molti brand del settore medicale abbiano scelto come colori principali il blu o il verde.

Molte banche usano il blu mentre alcune case automobilistiche prediligo il rosso o il nero/grigio, attitudine sportivo/passionale o lusso.

Nel tuo caso specifico tieni a mente una cosa quando chiamerai un mio collega la prossima volta a crearti un logo… voglio sfruttare l’effetto di assimilazione a un certo mercato o voglio distinguermi con un’idea, e un brand, disrupting.

Tutta una questione di scelte

Insomma, tutto si riduce a una serie di domande che devi farti e risposte che devi sapere.

Prima fra tutte: «Qual è il tuo cliente ideale?».

Traduco per rendere più digeribile la cosa, a che tipo di persone ti vuoi rivolgere: uomo/donna, fascia di età, abitudini, ceto e via così.

Quanto più sarai specifico, tanto più sarà efficace il tuo brand, senza dimenticare il colore, per quanto fondamentale, è solo una parte della tua “immagine”, altri aspetti li approfondiremo nei prossimi articoli.

Per ora ricordati che un colore vale l’altro è vero solo se il tuo prodotto/servizio non vale nulla…

Gualtiero Tronconi

Dove e come essere sul web

Qualche settimana fa ho scritto un articolo sul rapporto tra studio odontoiatrico e social network, e mi sono reso conto di aver dato per scontate una serie di informazioni riguardo a dove e come essere sul web e, magari, anche un generico perché.

“È obbligatorio essere sul web, spero che questo ti sia chiaro, ma non lo è essere sui social e se proprio vogliamo esserci dobbiamo farlo seriamente…”

Ora, in che senso è obbligatorio essere sul web, perché?

Il sito web

Diciamoci le cose con chiarezza, al giorno d’oggi, ed è così ormai da un bel po’, non si può non essere sul web, non può esistere l’evenienza che un paziente mi cerchi su Google e non trovi un sito con tutte le mie informazioni.

Ma come deve essere costruito questo sito e cosa deve raccontare?

Mettiti nei panni del tuo utente, cosa può interessare davvero a chi viene a visitare il tuo sito?

In primis come contattarti, dove trovarti e magari avere la possibilità di prendere un appuntamento direttamente dal sito.

Poi vorrà sapere qualcosa di te e del tuo staff, vedere quei volti che poi ritroverà in studio e gli ambienti che potrà riconoscere.

Per fare questo è d’obbligo avere delle foto professionali, non tiriamo in mezzo cose tipo «il mio cellulare fa delle foto bellissime» o «Mio cugino ha l’hobby della fotografia ed è bravissimo».

Un fattore che può avere effetti positivi sulla tua reputazione è la presenza di tecnologie all’avanguardia.

Anche in questo caso però ragiona sempre nei termini del tuo paziente, è figo avere l’ultimo modello di scanner intraorale 3D, ma quale vantaggio ne ha il paziente?

La risposta a questa domanda, scritta in modo comprensibile per un bambino di 9 anni è ciò che devi inserire sul sito.

Google

Passiamo a un altro paio di fattori da tenere sempre in considerazione.

Reclama la tua posizione in Google My Business.

Se non ne hai mai sentito parlare, tranquillo! Come la maggior parte dei servizi di Google, anche questa è gratuita e ti permette di geolocalizzare il tuo studio in Google Maps e comparire con:

  • sito
  • numero di telefono cliccabile
  • mail
  • informazioni
  • recensioni
  • e altro ancora…

In questo modo, oltre al tuo sito, l’utente potrà contattarti anche tramite questo servizio.

Hai un esempio di quello che può essere visto da chi ti cercasse nell’immagine in apertura di questo articolo.

Oltre il web

Arriviamo infine a ciò che normalmente viene chiamato “immagine integrata”.

Non si tratta di un vezzo dei grafici o degli studi marketing, ma di una vera necessità.

Se la mia insegna è di questo tipo:

Le brochure all’interno del mio studio sono tipo questa:

E poi il mio sito riporta un logo così:

Mi sembra ridondante dire che c’è qualcosa che non va nella mia comunicazione.

Tutto ciò che comunica di me verso l’esterno, ma anche verso l’interno, deve essere coerente e studiato per dare la giusta immagine del mio lavoro e della mia professionalità.

Non possiamo pensare di “risparmiare” usando le brochure già stampate o per non rifare l’insegna o la placca fuori dal palazzo.

Un paio di trucchi

Prima di infilarti in gineprai da cui è difficile uscire, fai un piano, ragiona attentamente su quello che vuoi comunicare, su come rappresentarti, tenendo sempre a mente che il tuo obiettivo è “parlare la lingua dei tuoi pazienti, attuali e potenziali”.

Affidati a professionisti seri, magari che conoscano il settore, ma non farti “portare a spasso” con idee fantasiose, richiedi esattamente quello che ti serve e valuta attentamente e in prospettiva eventuali aggiunte.

Stanzia un budget adeguato a quello che devi fare: sito, foto dello studio, foto dello staff…

Preparati a dover scrivere o far scrivere dei testi che ti raccontino e lo facciano bene.

Ricordati che un buon sito equivale a un bell’ingresso del tuo studio o a una bella vetrina per un negozio, presta attenzione a come ti presenti.

Se ti aspetti che tutto questo ti porti centinaia, o anche solo decine, di nuovi pazienti… scordatelo! Non funziona così!

Detto questo, dovresti farlo comunque…

Gualtiero Tronconi